mercoledì 9 marzo 2011

JOHN&YOKO/Capitolo 2: Life with the Lions

Yoko è convinta che Cynthia sapesse tutto della sua relazione con John, tramite il loro autista e la tata del figlio Julian. Nega che, come vuole la leggenda, Cyntha di ritorno a Kenwood rimase sconvolta nel trovarla lì, seduta in casa sua a fare colazione col suo tè e con indosso il suo chimono. Secondo Yoko, anche se la tensione era palpabile, il loro primo incontro non fu così tragico come è stato raccontato (“Eravamo tutti civili, eravamo come i figli dei fiori”).
Anche Cynthia riconobbe che il matrimonio con John poteva considerarsi finito: “All’epoca sapevo di non poter fare più nulla per fermare ciò che stava succedendo” dichiarò in seguito, “John era presissimo da qualcosa e quel qualcosa era Yoko”. John fu sempre molto aperto nell’esternare la natura della sua attrazione per Yoko (“Non ho mai conosciuto un amore così prima, e mi ha preso così tanto che ho dovuto porre fine al mio matrimonio con Cyn…con Yoko ho capito per la prima volta cosa significasse amare. La nostra era un’attrazione mentale, ma poi divenne anche fisica”). Anche nella sua ultima intervista radiofonica, parlando con Andy Peebles di BBC Radio1, John continuò ad insistere sul tipo di attrazione che Yoko esercitava su di lui: “Mi sono reso conto che c’era qualcuno al mio livello di follia” dichiarò entusiasta, “…una moglie che emetteva strani suoni”.
Al contrario, Yoko è sempre stata molto più riservata riguardo questa fase della loro relazione. Su Uncut del 2003, ha descritto la situazione dal suo punto di vista: “Ero pronta a cominciare una vita indipendente dal mio matrimonio e pensavo: bene, allora ok, probabilmente vivrò da sola in un monolocale, o qualcosa del genere. John non era della stessa idea. Quindi all’inizio cominciammo a frequentarci, poi a maggio ci mettemmo insieme e finimmo per andare a convivere”.
Oltre la Manica, la rivolta studentesca aveva guadagnato una tale fiducia tra la gente, sfruttando il malcontento generale, che il 23 maggio dieci milioni di lavoratori erano in sciopero ed anche il Festival del Cinema di Cannes dovette essere abbandonato sotto la minaccia dello sciopero di tecnici e registi. Contemporaneamente, i dibattiti aperti sul ruolo e la natura dell’arte e dell’artista gettavano le basi di un’importante critica che di lì a poco avrebbe influenzato e formato le future opere di Yoko e John.
Questi dibattiti, anche se appoggiavano palesemente gli elementi di radicalismo, la centralità dell’immaginazione e la partecipazione democratica propri di Fluxus (che aveva animato i precedenti lavori di Yoko), criticavano profondamente altri caratteri del movimento secondo cui l’artista “fa quello che vuole, crede che tutto sia possibile, deve spiegazioni solo a sé stesso o all’Arte…inventa qualcosa di unico, il cui valore sarà permanente, al di là della realtà storica…Lasciateci chiarire un punto: non sarà certo la stipulazione di contratti migliori tra gli artisti e la tecnologia moderna che li avvicinerà alle altre categorie di lavoratori, ma aprire loro gli occhi sui problemi degli operai, cioè sulla realtà storica del mondo in cui viviamo”.
Una settimana dopo, il commento di Jean-Paul Sartre, intervistato dal leader degli studenti Daniel Coehn-Bendit per Le Nouvelle Observateur, fu positivo: “La cosa interessante in ciò che fate è che mettete l’immaginazione al posto del potere. La vostra immaginazione, come tutti, è limitata, ma avete molte idee in più rispetto agli adulti. La classe operaia ha spesso immaginato nuove forme di lotta, ma sempre in funzione della precisa situazione in cui si erano venuti a trovare...Voi avete un’immaginazione molto più ricca e gli slogan scritti sui muri della Sorbona ne sono la prova. Da voi è emerso qualcosa di sorprendente, qualcosa che lascia a bocca aperta e che rinnega tutto ciò che ha portato alla società attuale. Questo è ciò che chiamo estendere il campo delle possibilità”.
“Estendere il campo delle possibilità” è anche una definizione azzeccata per l’effetto che Yoko stava avendo sulla creatività di John. Il critico d’arte Anthony Fawcett scrisse: “Quello che Yoko stava facendo per John, era cambiare il suo atteggiamento nei confronti dell’arte, e nei confronti di tutto il resto, dimostrandogli come tutto fosse possibile e, soprattutto, come tutte le idee che aveva in mente potessero venire fuori ed essere sviluppate, senza rimanere solo delle fantasie”.
Quando, a fine maggio, i Beatles cominciarono le registrazioni del White Album, Yoko iniziò ad accompagnare John agli studi di Abbey Road. In passato era stato sempre chiaro per i Beatles che, durante le registrazioni, mogli e fidanzate dovevano essere lasciate a casa, quindi gli altri membri del gruppo (tutto al maschile) reagirono prima con sorpresa e poi con rabbia alla presenza di Yoko.
Nella prima settimana di giugno furono visti mentre pranzavano insieme, entrambi avvolti in caftani bianchi, prima di dirigersi, sempre insieme, ai nuovi uffici della Apple. Dettero vita anche alla loro prima collaborazione artistica, partecipando alla National Sculpture Exhibition a Coventry, organizzata, tra gli altri, da Anthony Fawcett, amico intimo di Yoko e grande estimatore della sua opera sin dalla mostra all’Indica Gallery. Questo legame facilitò l’inclusione di un’opera di John e Yoko nella mostra, nonostante la natura concettuale del loro contributo. Yoko voleva dare una rappresentazione simbolica della sua relazione con John, piantando due ghiande, una ad est e una ad ovest, nel cimitero dove fu allestita la mostra. Fawcett definì “originale il concetto delle ghiande come arte vivente”. Gli altri organizzatori erano meno convinti ed i responsabili della cattedrale negarono il permesso di piantare le ghiande in terra consacrata. Alla fine le ghiande furono piantate in un prato vicino alla cattedrale, da cui in seguito furono dissotterrate e rubate. Ne fu inviato un altro paio e fu messo un custode di guardia all’“Acorn Piece”, per tutta la durata della mostra.
Il 18 giugno John e Yoko presenziarono alla prima di In His Own Write, un adattamento del libro di John al teatro Old Vic. Alla stampa che chiedeva dove fosse sua moglie John rispose che non ne aveva la più pallida idea. Il giorno seguente la maggior parte delle testate riportava una foto di John e Yoko che arrivavano insieme a teatro, così la loro relazione, sbattuta in prima pagina, divenne di dominio pubblico. Nel frattempo, entrambi avevano messo in moto i rispettivi processi per sciogliere le precedenti relazioni che, in ambedue i casi, comportavano questioni di affidamento di bambini piccoli.
John iniziò le pratiche per il divorzio sulle basi dell’adulterio di Cynthia, sperando di ottenere l’affidamento del figlio Julian, che all’epoca aveva 5 anni. Yoko negoziò direttamente con Tony la loro separazione e lui continuò ad occuparsi di Kyoko, che all’epoca aveva quattro anni. Cynthia che a sua volta intentò causa di divorzio per adulterio, rimase a Kenwood con Julian, mentre Tony e Kyoko si trasferirono nel sud della Francia. John e Yoko andarono a vivere in un monolocale nel seminterrato di un palazzo appartenente a Ringo Starr, a Montague Square. Il palazzo aveva una lista interessante di ex inquilini, che comprendeva la madre di Cynthia, Jimi Hendrix e William Borroughs.
La coppia attirò nuovamente l’attenzione della stampa quando, il primo luglio, alla Robert Fraser Gallery di Duke Street, aprì i battenti la prima vera mostra di John: You Are Here. Il catalogo conteneva la dedica “A Yoko, con amore, John” e il pezzo forte della mostra, una tela bianca circolare con al centro la scritta, a lettere minuscole, “You Are Here”, ricordava molto da vicino il pezzo concettuale di Yoko “Ceiling Painting (YES Painting)”. Yoko ricorda: “Appena scesi dalla macchina ci trovammo di fronte un muro di giornalisti e fotografi e la mia reazione immediata fu: corriamo a rifugiarci subito nel retro!”.  Ma John decise di affrontare la stampa e rispose a tutte le loro domande dicendo semplicemente: “Sono innamorato di lei”.
Parte dell’evento consisteva nel lasciar volare trecento palloncini bianchi, gonfiati con l’elio, ognuno con un biglietto che chiedeva a chi l’avesse trovato di scrivere a John Lennon presso la Robert Fraser Gallery. Le lettere di risposta criticavano fortemente la relazione tra John e Yoko, arrivando anche ad essere apertamente razziste. Questa antipatia era un segno delle profonde radici del razzismo inglese con cui Yoko avrebbe presto fatto i conti. Un razzismo alimentato dalle aperte e frequenti ostilità e dalla costante, malcelata avversione mediatica nei suoi confronti, presente tutt’oggi.
Persino il Guardian, testata da sempre liberale, non ha saputo resistere a titoli offensivi come: “Ono! Ancora tu” (febbraio 1997) e “Yoko si spoglia (di nuovo) per la pace” (settembre 2003), liquidando le sue parole come “cazzate” (The Guide, settembre 2003). Nell’atmosfera apparentemente progressista degli anni ’60, era possibile per una donna asiatica dividere il palcoscenico della Royal Albert Hall con un jazzista afroamericano. Ma questo accadeva di fonte ad centinaia di persone, mentre i Beatles avevano un seguito di milioni di persone e la risposta del pubblico nei confronti di Yoko è un segno evidente di quanti progressi in campo sociale avesse fatto l’Inghilterra degli anni ’60. Anche le reazioni dei Beatles e della Apple non furono molto diverse, sempre con un’ostilità espressa in termini razzisti.
All’inizio, almeno pubblicamente, Yoko e John cercarono di reagire positivamente. Yoko girò il Film No.5, dove una ripresa velocizzata di 3 minuti della bocca sorridente di John veniva riprodotta a velocità naturale, fino a raggiungere la durata di un’ora e mezzo. Il 17 luglio fu proiettato per la prima volta. Yoko spiegò: “Lo chiamiamo il nostro film del sorriso perché John sorride e ogni tanto dice `Stai tranquilla, amore´. L’idea iniziale era di filmare tutti i sorrisi del mondo, ma poi ho capito che sarebbe stato impossibile e ho lasciato che John rappresentasse tutti gli altri ed emettesse le sue vibrazioni. Penso che la gente che lo vedrà tra cinquecento anni le potrà percepire”.
Ma nella loro dimensione privata era sempre più difficile mantenere quella positività. A luglio iniziarono a fare uso di eroina, in parte a causa del crescente successo artistico, ma, se valutato più attentamente, il fatto può anche essere considerato una reazione alla pressione che stavano subendo. In seguito John disse a Jann Wenner di Rolling Stone: “La prendevamo a causa delle cose che ci stavano facendo i Beatles e compagnia bella”. Secondo Peter Brown, direttore della Apple, Yoko disse: “John era molto curioso. Mi chiese se l’avessi mai provata. Gli dissi che mentre lui era in India dal Maharishi avevo fatto una sniffata ad una festa. Non sapevo cosa fosse. Mi avevano semplicemente dato qualcosa e avevo chiesto cosa fosse. Era stata una sensazione stupenda. Forse perché non era in una quantità tale da farmi sentire male, ma solo una bella sensazione. Gli dissi questo… credo che siccome gli dissi che non era stata una brutta esperienza influenzai in qualche modo la sua decisione di prenderla”.
Naturalmente John aveva già usato e sperimentato le droghe in passato, addirittura ai tempi di Amburgo aveva sviluppato una dipendenza dal Preludin[1]. La cosa importante della sua esperienza con l’eroina fu che la fece con Yoko, il che unì i due e, allo stesso tempo, li isolò dal resto del mondo. Un passo molto significativo per le dinamiche interne dei Beatles. Infatti, le registrazioni del White Album proseguivano e gli altri membri del gruppo trovavano sempre più difficile lavorare con John poiché questo significava lavorare anche con Yoko, che proponeva insistentemente le sue opinioni e i suoi vocalizzi durante le session, suggerendo per la prima volta in una canzone dei Beatles l’inserimento della voce solista femminile, in “Bungalow Bill”. John e Yoko, con un piccolo contributo di George Harrison, scrissero “Revolution 9”, un collage avant-garde di suoni che in America influenzò enormemente gli ascoltatori più disparati, dal pluriomicida Charles Manson ai radicali anti-stalinisti cecoslovacchi post-primavera di Praga. In seguito, John spiegò che il pezzo era ispirato soltanto alle creazioni di Yoko: “Una volta ascoltata quella roba, rimasi catturato e decisi di farne una anche io. Ho speso più tempo per “Revolution 9” che per metà di tutte le altre canzoni che ho scritto”.
Anche se in “Revolution 9” si parla più che altro di una rivoluzione formale e concettuale, senza prese di posizione esplicite in riferimento alla realtà storica di quel periodo, tutto sommato, si trattava di un titolo azzeccato per una canzone nel 1968.



[1] Medicinale a base di fenmetrazina, derivato dell’anfetamina. (N.d.T.)

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